Perché allora stupirsi della possibilità di andare al voto, sia politico, sia amministrativo, avvalendosi delle nuove tecnologie? Potrebbe sembrare una cosa normale: apparentemente sarebbe una novità foriera di vantaggi, ma, occorre dire, anche di molti rischi: primo di tutti il rischio di mettere a repentaglio la democrazia. L’ approccio condizionale in luogo della certezza entusiastica è, dunque, un obbligo.
Ad una prima analisi sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una soluzione definitiva per ridurre gli enormi costi che caratterizzano ogni tornata elettorale: almeno quattrocento milioni di euro, solo di costi sostenuti dallo stato [fonte Ministero dell’ Interno – www.interno.it]. Infatti, ad ogni tornata elettorale di tipo politico/amministrativo debbono essere allestite, in 8101 comuni, circa 61.700 sezioni elettorali. Di queste, circa settecento all’ estero, per i quasi tre milioni di italiani non residenti in patria. Solo per la stampa delle schede elettorali vengono utilizzate circa centoventi tipografie, con un costo che può raggiungere e superare i sette milioni di euro (per elezioni politiche ed amministrative celebrate assieme). A questi costi vanno aggiunti quelli della stampa ed invio dei certificati elettorali ed i costi degli scrutatori, che oltre a presidiare lo svolgimento delle operazioni di voto, debbono effettuare lo spoglio delle schede. Ridurre tali costi, ove possibile, sarebbe un dovere politico, specie in momenti di difficoltà economiche manifeste.
Poniamoci la domanda critica: l’ informatizzazione del processo elettorale può ottenere questo ambizioso risultato, magari migliorando anche la qualità intrinseca delle attività di voto?
Ebbene, anche se può apparire un’ ovvietà, ciò che caratterizza il processo elettorale è l’ esigenza di mettere il cittadino in condizioni di poter votare: si tratta di un presidio democratico che viene considerato irrinunciabile. Questo inizia a spiegare l’ esigenza di un così elevato numero di sezioni elettorali sul territorio. Diversamente, molti cittadini, domiciliati lontano dai seggi, magari in condizioni disagiate sotto diversi aspetti, sarebbero – di fatto – esclusi dal diritto di voto. Evidentemente non sarebbe una condizione accettabile: in certi casi il costo della politica appare più che giustificato dal presidio dei diritti di tutti i cittadini. Pertanto l’ eventuale velocizzazione delle attività di voto non impatterebbe minimamente sull’ esigenza di avere, comunque, un numero sufficiente di sezioni elettorali.
Quale altro aspetto caratterizza il voto? Appare ovvio: la segretezza dell’ espressione delle preferenze dei singoli cittadini.
Proprio per preservare la segretezza del voto ed il diritto a non essere influenzati indebitamente nel momento della votazione stessa, appare impossibile ipotizzare il voto da remoto. Le criticità (minacce alla segretezza dell’ operazione, minacce alla indipendenza e libertà di esercizio del diritto di voto a causa di intimidazioni o di pressioni indebite sul singolo cittadino da parte di terzi) sarebbero nei fatti ingestibili. Se poi si pensasse di far riposare tale processo sull’ infrastruttura di comunicazione nota come “internet”, il rischio complessivo per la sicurezza delle informazioni elettorali gestite sarebbe intollerabile e senza possibilità di mitigazione: ma in un processo di questo tipo non serve mitigare i rischi: vanno eliminati e deve esservene certezza! Quindi la soluzione basata su “internet” sarebbe da scartare da subito. In quest’ ottica l’ infrastruttura basata sui seggi elettorali “fisici” e non virtuali appare ancora la migliore in assoluto, dato il presidio di tutela, per ogni cittadino avente diritto al voto, offerto dalla presenza “in loco” delle forze dell’ ordine in un’ ottica di pubblica sicurezza e dalla presenza “politica” degli scrutatori di tutte le coalizioni elettorali, in ottica di indipendenza e libertà di esercizio della facoltà di voto in sé.
In un seggio elettorale tradizionale, le diverse componenti politiche hanno la possibilità di monitorare il corretto svolgimento della votazione e, più ancora, la correttezza del computo dei voti espressi dai cittadini. Tale attività può essere svolta da qualunque cittadino che abbia compiuto gli studi previsti dalla scuola dell’obbligo. In definitiva, si tratta di essere nel pieno dei diritti civili e politici, nonché di saper scrivere e far di conto: niente di più. Quindi, ci si trova di fronte ad una condizione di assoluta democraticità del controllo operativo del processo di voto.
Con l’ adozione della tecnologia informatica, non è ben chiaro come possa essere condotto proprio il monitoraggio del processo di voto, sempre garantendo a livello politico i diritti di “privacy” del cittadino votante e preservando l’ integrità democratica di tale processo. Se in un’ ottica di riduzione dei costi, l’ automatizzazione biometrica permettesse di ridurre il numero o anche eliminare la presenza degli scrutatori, come potrebbero essere conservate le garanzie più sopra indicate? È evidente che, in un contesto di voto basato su di un’ infrastruttura IT occorrerebbe un monitoraggio spinto, principalmente attraverso delle attività di Audit a livello tecnico ed organizzativo: in tale contesto si tratterebbe di prevedere un monitoraggio fisico sulle attività di voto ed un monitoraggio a livello di auditing tecnico organizzativo sul processo tecnologico. Ma di che tipo: “ex-ante”? sicuramente per alcuni aspetti, come la corretta installazione delle attrezzature del seggio e l’ assenza di dispositivi “malware” di tipo HW.
Magari, si tratterà anche di un controllo operativo di auditing contestuale alle operazioni di voto? Certamente servirà anche questo presidio, ma come potrà essere progettato affinché non venga violato il segreto dell’ urna? Potrà essere un controllo operativo “ex-post”? Anche: per verificare la correttezza complessiva delle attività svolte. Chi lo svolgerà, a chi riferirà politicamente, con quali competenze tecniche, con quale livello di accesso al cuore dei sistemi informatici utilizzati? Sono tutte domande lecite, una risposta potrebbe essere tecnica: ma, al contrario, se mai si farà dovrà essere primariamente di tipo politico: ciò che è in gioco è la democrazia, non una transazione bancaria!
Inoltre, occorrerebbe capire se allo stato attuale della diffusione della cultura informatica o, più semplicemente, dell’ uso delle apparecchiature informatiche, l’impiego di una eventuale “consolle elettronica” di voto, per il cittadino medio abbia la stessa immediatezza e semplicità d’uso della classica scheda cartacea. La risposta appare evidente: la scheda cartacea è idonea per tutti, anche per quei cittadini che sono più avanti negli anni e non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie. Proprio così, non tutti hanno la necessaria confidenza con il mondo digitale; però, è anche vero che le nuove generazioni, che potrebbero avvicinarsi ad un ipotetico “seggio elettronico” questa confidenza ce l’hanno di sicuro. Allora, per questo specifico aspetto, si tratta solamente di una questione di tempo, di un passaggio generazionale. Qui il riferimento è la dinamica demografica. Allora potrebbe essere lecito iniziare oggi una sperimentazione che fornirà dei risultati atti a divenire “sistema elettorale” nel futuro, in modo da essere pronti per tempo. Sperimentare è corretto e, probabilmente, quando vi è la possibilità di risparmiare i soldi del contribuente, diventa doveroso anche politicamente.
Come più sopra accennato, quando a regime, una forma di risparmio potrebbe derivare dalla velocizzazione delle operazioni anagrafiche pre-voto: come il riconoscimento anagrafico del cittadino. Questo potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso l’integrazione del seggio elettronico con i sistemi di riconoscimento biometrico, a similitudine della tecnologia già adottata con il passaporto elettronico. Qui, il rischio non indifferente sarà quello della gestione della “privacy”. Va detto che il costo per velocizzare un’ operazione molto semplice, quando effettuata manualmente, forse sarebbe eccessivo, a fronte di una velocizzazione tutta da verificare. Rimane anche il dubbio sull’ affidabilità di tale riconoscimento biometrico automatizzato. Il problema degli errori di primo e secondo tipo [FRR – False Rejected Rate; FAR – False Accepted Rate] nelle apparecchiature biometriche è noto e, specie il secondo tipo di rischio, anche in questo caso, dovrebbe essere ridotto ad una soglia di accettabilità. Questa “soglia di accettabilità” andrebbe definita a livello politico e, successivamente, realizzata…, ma non appare né una cosa semplice, né economica, né percorribile in brevi tempi. Non dimentichiamoci che, in una popolazione, nei tempi previsti per l’ impiego di un’ infrastruttura per il voto elettronico (vita di almeno una ventina d’ anni) le caratteristiche biometriche dei singoli si modificano con la conseguenza dell’ esigenza di un’ aggiornamento periodico della mappature delle stesse. Ancora costi difficili da sostenere e giustificare, se si pensa che tale progetto dovrebbe essere mirato – al contrario – alla loro riduzione. Inoltre, vi sarebbe l’ immanente presenza della minaccia, in senso lato, del furto delle identità personali dei votanti: una complicazione non da poco. Una soluzione sufficientemente robusta ed affidabile appare ancora lontana. Proprio sul fronte dell’ affidabilità di tutto l’ HW e SW di tale progetto occorrerebbe ragionare a fondo, dato che vi è solo la certezza di un vertiginoso aumento dei costi a breve per un vantaggio futuro non ben quantificabile.
D’altronde il rischio per la “privacy” sarebbe destinato a rimanere sempre a livelli poco accettabili, relativamente alle identità biometriche dei cittadini e dei dati sensibili riferibili alle convinzioni politiche di ognuno. Queste informazioni sarebbero comunque esposte ad un livello di rischio costante ed elevato. Infatti, sempre sul fronte della sicurezza delle informazioni, sussistono altre notevoli perplessità, cui si dovrà trovare risposta: come saranno gestiti il cosiddetti “log” informatici (le registrazioni elettroniche delle attività svolte dai sistemi informatici utilizzati per le operazioni biometriche e/o di voto) dai quali, in ipotesi, si può risalire alle scelte politiche del singolo? Tali “log” non possono di certo essere eliminati: infatti, garantiscono la tracciabilità delle operazioni di voto e sono l’ elemento di analisi necessaria per valutare la loro correttezza (gestione dell’ accesso, integrità e disponibilità dei dati). Ovviamente, tali “registrazioni elettroniche di sistema” dovranno essere pur analizzate da qualcuno. Onestamente appare difficile pensare che questo “qualcuno” possa appartenere alla categoria degli scrutatori, con le caratteristiche di competenza oggi richieste. Una serie di controlli operativi critici di sicurezza per la “privacy” e di integrità , disponibilità e corretta elaborazione dei dati relativi ad ogni singolo voto ed a lotti “batch” degli stessi voti, dovrà essere inserita nel codice che governerà le operazioni sia di pre-elaborazione, sia di trasmissione, sia di elaborazione finale. Basti pensare all’ esigenza di impedire doppie registrazioni di voto per un singolo cittadino. Chi approverà i SW utilizzati per lo scrutinio, decidendo e verificando l’ esistenza di tali controlli operativi? Che affidabilità daranno e quale impervietà sarà garantita a fronte della possibile modifica non autorizzata, per possibili violazioni della “privacy” o per tentare un possibile broglio elettronico? A quale livello della “macchina” tecnologica, ovvero in quale momento dovranno operare? con quali report e rivolti a chi? Magari, durante la trasmissione delle informazioni ad un ipotetico Centro Operativo installato presso il Ministero dell’ Interno? Sembra abbastanza evidente che tutti i sistemi informatici, i software e gli hardware dovranno essere basati su di un Sistema Operativo proprietario con codice segretato e sottoposti alle più rigorose certificazioni secondo gli standard ITSEC o Common Criteria. Tale processo dovrebbe essere espletato dalla ANS (Agenzia Nazionale per la Sicurezza). Ciò posto, appare difficile che in oltre sessantamila sezioni e seggi possano operare un numero di tecnici super-specializzati, in veste di scrutatori rappresentanti delle diverse compagini politiche in lizza, magari in equilibrio tra loro. Quindi, in un sistema bipartitico, almeno centoventimila tecno-scrutatori equamente sparsi sul territorio nazionale: due tecno-scrutatori per ogni seggio o più…! Stante l’ estrema difficoltà di reperire così tante risorse specializzate e l’ esigenza di formarle sui controlli operativi da eseguire, di fornire loro gli strumenti informatici per l’ esecuzione e rendicontazione dei controlli operativi medesimi, appare che tale onere dovrebbe gravare su una struttura tutta da definire, sia in termini di presenza e rappresentatività politica, sia in termini di competenza e soprattutto di modalità operative. Nuovamente, tale attività appare molto difficile da eseguire da remoto, per i motivi di sicurezza informatica già citati. Per alcune operazioni tale controllo operativo potrebbe essere delegato ad un’ Autorità Competente “ad hoc”. Questo, però, significherebbe che il controllo di garanzia per la democrazia, svolto a livello politico, seggio per seggio, sulle operazioni di voto, risulterebbe trasferito dagli scrutatori, che, ricordiamolo, sono garanti della correttezza delle operazioni di voto, ad un ente terzo. Potrebbero esservi dei rischi concreti per la democrazia? La risposta, purtroppo, sembra essere proprio di si!
Atteso che in un contesto di infrastruttura elettronica di voto sarebbero preminenti gli aspetti di controllo politico e di tutela della “privacy”, occorre portare a termine anche la valutazione, per quanto grossolana, di carattere economico.
Quale sarebbe, infatti, l’ investimento necessario per dotare le più di sessantamila sezioni elettorali dei terminali dell’ infrastruttura HW e SW necessaria al voto elettronico? Senza contare le centrali di calcolo e trasmissione dei dati intermedie e l’ esigenza di garantire loro la continuità operativa, a livello fisico e logico? Questo costo, sicuramente elevato, ma in definitiva non troppo (forse un centinaio di milioni per una struttura da utilizzare più volte e, quindi ammortizzabile), va paragonato con il fatto che per le schede cartacee il problema citato della continuità operativa non esiste! Non solo. Per lo sviluppo del SW dedicato e per la realizzazione del relativo HW per tutte le sezioni e per i centri intermedi e per il centro di calcolo finale, per la distribuzione di tali elementi dell’ infrastruttura elettronica di riconoscimento biometrico e di voto (la seconda senza la prima, probabilmente, non avrebbe senso) nelle decine di migliaia di sezioni sopra menzionate e per la loro manutenzione e conservazione, nonché per il controllo di non manomissione, sarebbero necessari decine di milioni, che a conti fatti, probabilmente alla fine supererebbero i quattrocento milioni di euro di una singola votazione. Sarebbe possibile considerare questo coma una spesa quasi “una-tantum” stante la possibile rapida obsolescenza di tale infrastruttura? Va considerato che tale obsolescenza, almeno in teoria, non sembrerebbe impattare sulle le prestazioni. Si consideri anche il fatto che tali strumenti verrebbero utilizzati con cadenza pluriennale (si spera quinquennale), ma dovrebbero essere testati periodicamente e mantenuti in stato di efficienza anche attraverso riparazioni costose perché eseguite presso centri specializzati monitorati, se non presidiati dell’ ANS: non dimentichiamo i requisisti di sicurezza. Forse sarebbe da prevedere oltre alla distribuzione delle apparecchiature nelle diverse sezioni, anche il loro ritiro e conservazione controllata, in un’ ottica di garanzia di sicurezza nazionale. Si tratta di costi che dovrebbero essere analizzati molto in dettaglio, sulla base di uno specifico progetto, ma destinati ad essere senz’altro elevati. Pertanto anche l’ aspetto economico sembra contrastare con lo scenario di un voto elettronico “a portata di mano”. Non che manchi la tecnologia, ma sicuramente i costi ed il governo dei rischi per la democrazia e per la “privacy” del cittadino non sembrano consigliare nell’ immediato tale soluzione.
Probabilmente, le centoventi tipografie che stampano le schede ed i certificati elettorali, per adesso possono tirare un sospiro di sollievo.
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